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Il grande Pasolini

Renzo Pasolini era fatto per piacere alla folla. Era di quegli uomini che non si dosano in vista di un lontano risultato che va raggiunto mettendo pazientemente insieme i pezzi di un mosaico. Per «il Paso» non esistevano calcoli; ogni gara era «quella», la più importante, dove bisognava spendere senz’altro il meglio di sé, sul filo di un incredibile equilibrio fra lo stare in piedi e il volar via.Guidando in questo modo è certo facile piacere a quel «mostro» dalle centomila teste che è il pubblico, però è altrettanto facile giocarsi la possibilità di arrivare a traguardi veramente importanti. Proprio per questa sua filosofia del «tutto e subito», Pasolini si è perso nel ‘69 il titolo mondiale della 250 con la Benelli che avrebbe potuto benissimo essere suo, anziché di Carruthers che lo aveva rimpiazzato dopo che un paio di cadute dovute all’eccesso di generosità avevano messo fuori causa il nostro pilota.

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A parte queste considerazioni, veder guidare Pasolini (se si riusciva a superare quello stato di angoscia dovuto alla sensazione di un’imminente caduta) era un autentico piacere, epidermico per il pubblico e ben più profondo per gli «iniziati», che comprendevano meglio tutte le sfumature della sua impossibile tecnica. Questa con-sisteva nel percorrere le curve, particolarmente quelle più strette tipiche dei circuiti «adriatici» dell’epoca, in uno stato di... emergenza, con rapide e frequenti correzioni di inclinazione e con un magistrale avorio sulla manopola del gas che veniva pelato in apertura e chiusura a seconda delle condizioni di aderenza della ruota posteriore. Una tecnica fatta tutta d’istinto e sensibilità, ripresa direttamente dal cross che Renzo aveva lungamente praticato, e certamente redditizia anche se probabilmente divoratrice di energie per la costante tensione necessaria.
Nonostante questo «selvaggio» modo di guidare, Pasolini è caduto relativamente poche volte nella sua carriera (anche se nei momenti sbagliati, come nel ‘69) e va detto che la caduta che gli è costata la vita, insieme a Saarinen, quel 20 maggio 1973 a Monza, non è imputabile a lui ma a un grippaggio del motore che non aveva ancora raggiunto la temperatura di funzionamento.

Renzo Pasolini, oltre che trascinante per il suo modo di guidare, era anche un ragazzo molto simpatico e divertente, capace di battute di spirito improvvisate, di un umorismo intelligente e un po’ sarcastico. Noncurante nel modo di fare e di vestire, aveva l’aria di infischiarsene un po’ di tutto o comunque di non dare eccessiva importanza alle cose «terrene». Molto disinvolto, sapeva strappare delle risate anche nel corso di interviste televisive, per le battutine che infilava nel discorso, specie al culmine della rivalità con Agostini.

Di statura media, con gli occhiali, i capelli mossi e scuri, resistente e robusto, Renzo Pasolini aveva praticato sport faticosi come il pugilato e il motocross; anzi, diceva che se non avesse fatto il corridore motociclista lo avrebbe senz’altro attirato la boxe. Nonostante questa predisposizione per le discipline sportive, «Paso» non conduceva la vita esemplare dell’atleta, perché non rinunciava al fumo, gli piaceva fare tardi la sera e non si tirava certo indietro se c’era da mangiare e bere, cosa del resto piuttosto usuale per un romagnolo purosangue.
Renzo Pasolini è nato infatti a Rimini il18 luglio 1938, figlio d’arte, in quanto il padre Massimo è stato anch’egli corridore motociclista e primatista mondiale.
Comincia a correre a vent’anni de- buttando nel motocross, un’attività che, oltre a dargli le prime soddisfazioni, sarà determinante nel forgiarne il temperamento battagliero e il modo un po’ violento di trattare la moto; al cross si dedicherà costantemente, durante la stagione invernale, praticandolo, anche se non più agonisticamente, durante tutta la sua carriera, così come farà con la ginnastica prepugilistica per tenersi in forma fisicamente.
Nel 1962 passa alla velocità e con una Aermacchi 175 si distingue subito, battendo fra l’altro per due volte un altro futuro campione, quel Giacomo Agostini che ritroverà ben presto, e sovente, sul proprio cammino.
Segue una pausa dovuta al servizio militare; ma se non può correre, Pasolini riesce a mettere a buon frutto questo periodo perché in Sardegna, dove è stato destinato, conosce Anna, una bella ragazza bruna, insegnante, che più tardi diventerà sua moglie e dalla quale avrà due figli, Sabrina e Renzo Stefano, che al momento della tragica scomparsa del padre avranno rispettivamente sei anni e due anni e mezzo.

Nel ‘64 riprende l’attività ed è ben presto promosso tra i seniores. Le macchine di cui dispone sono le Aermacchi 250 e 350 con le quali, benché si tratti di semplici monocilindriche ad aste e bilancieri, otterrà sempre risultati di rilievo, piazzandosi sovente al primo posto dopo le macchine più potenti.
Conclude il campionato italiano 1965 al secondo posto dopo Provini con la Benelli nella classe 250 e al terzo nella 350 dopo Agostini e Giuseppe Mandolini. Col caposquadra Gilberto Milani prenderà parte anche ad alcune prove mondiali concludendo quarto al Nùrburgring e al G.P. d’Olanda e quinto a Brno. E' presente anche al Tourist Trophy ma senza fortuna, in quanto si ritirerà in entrambe le classi.

Nel ‘66 i migliori risultati in Italia sono il secondo posto nella classe 250 a Milano Marittima, il secondo a Cesenatico nella 500 (con una 350 maggiorata) e i due terzi posti nella 250 e nella 350 a Ospedaletti. All’estero, nelle gare di campionato mondiale, insieme ad alcuni quarti e quinti posti prevalentemente nella 350, fa spicco la bella terza posizione ottenuta in Olanda dopo Hailwood e Agostini. Sul finire delle stagioni, nell'ultima stagione di prova di campionato italiano a Vallelunga, la Benelli decide di affidargli la sua de-buttante 500 quattro cilindri che Paso porta alla vittoria, davanti alla Gilera di Venturi. E con questo gli si aprono le porte della Casa pesarese per una proficua attività che durerà alcuni anni.

Finalmente può misurarsi alla pari con il suo antico rivale Agostini e questo accesissimo antagonismo fra i due corridori italiani in sella a due macchine esse pure italiane, la Benelli e la MV Agusta, farà vivere agli appassionati alcune stagioni con l’entusiasmo alle stelle. Questi epici duelli si svolgeranno per lo più sul suolo nazionale perché all’estero, dove d’altro canto la Benelli non si spingerà di frequente, la contesa per la vittoria non è soltanto affar loro, ma c’è pure un certo Hailwood con la Honda che ha la stessa premura di concludere le corse a suo favore, I migliori risultati nel mondiale della 350 sono i terzi posti di Hockenheim e Assen, entrambe le volte dopo Hailwood e Agostini. In Italia invece, fuochi arti-ficiali; a Modena vince la 500 con Ago ritirato, a Riccione e Milano Marittima due secondi posti dietro la MV, vittoria a Cesenatico nella 350 davanti al rivale, poi secondo a Imola nella 350 e terzo a Zingonia nella stessa classe. A queste affermazioni vanno aggiunte quelle ottenute con la 250 a Milano Marittima e con la 500 a Pergusa, anche se non ha a che fare con la sua «pietra di paragone». L’anno dopo, il ‘68, Pasolini e la Benelli la spunteranno solo due volte sul binomio avversario, a Cesenatico e lmola, e, tra gare in Italia e all’estero, arriveranno otto volte secondi; tra queste piazze d’onore vanno citate quelle ottenute con la 350 al Nùrburgring, al Tourist Trophy e a Monza, gara quest’ultima dove saranno secondi anche nella 500. Nell’albo d’oro 1968 di Pasolini anche una vittoria nella 250 nella sua Rimini. Suoi sono i titoli italiani della 250 e della 350.

Il ‘69 si presenta come una grande stagione perché Renzo infila subito all’inizio dell’anno una serie di strepitosi successi in patria: a Rimini vince 250 e 350 (con Ago secondo nella classe maggiore con un lieve distacco), poi nuove vittorie 250 e 350 a Modena (Ago ritirato), altra doppietta nelle stesse classi a Riccione (col pluricampione mondiale sempre secondo nella 350), e ancora bis in entrambe le cilindrate a Riccione e Imola (il rivale sempre secondo). Poi arriva Cesenatico dove Paso si aggiudica regolarmente la 250 ma soccombe questa volta nella 350, arrivando distanziato di poco più di 6" da Agostini, cui replica però nella gara successiva a Milano Marittima, dove risfodera la doppietta 250 e 350, mentre l’altro si deve ritirare.
L’entusiasmo è al settimo cielo, nugoli di spettatori si accalcano ad assistere ogni volta a queste specie di «risse» fra i due campioni che non si risparmiano, benché senza scendere agli insulti, neppure a parole. La rivalità, inevitabilmente alimentata anche da giornali e televisione, è tale che ad un certo punto nasce anche l’idea ~Ji una sfida a macchine pari (prima tutti e due su Benelli, poi entrambi su MV) per farla finita una volta per tutte con i «sono più bravo io. No, sono io il migliore». Saggiamente le rispettive Case e la Federazione Motociclistica Italiana si oppongono a questa specie di sfida paesana.

Il '69 è anche l’anno in cui Pasolini si trova più che mai a portata di mano il titolo mondiale della 250, visto che la macchina «c’è». Cade però nelle prove a Hockenheim e rimane inattivo per le successive due prove a Le Mans e al T.T., dove il suo posto alla Benelli viene preso da Carruthers. Rientra ad Assen dove vince nettamente su Carruthers e sul pericoloso Herrero con la Ossa, poi una battuta a vuoto a Francorchamps per guai al motore, e due nuove splendide vittorie al Sachsenring e a Brno davanti rispettivamente a Herrero e Gould. A lmatra invece, per il G.P. di Finlandia, una nuova caduta mette fuori causa il campione riminese per tutta la restante stagione e il titolo finisce a Carruthers, sua «controfigura» alla Benelli.
Non è facile consolarsi della perdita di un titolo mondiale, ma certamente il ripetersi dell’accoppiata nei campionati tricolori della 250 e della 350 avrà pure lenito un poco le ferite.
Nel 1970, a causa delle nuove disposizioni che limitano ai soli bicilindrici la possibilità di correre nella 250, la Benelli si concentra particolarmente sulla 350. Paso vince all’inizio di stagione a Rimini e Riccione, poi è quasi sempre secondo; nel mondiale i migliori risultati sono i secondi posti di Assen, del Sachsenring e di Brno, sempre dietro Agostini e la MV. Nel G.P. delle Nazioni con la Benelli 500 deve ritirarsi dopo aver stabilito il giro più veloce a circa 203 di media.

Nel corso dell’annata è sorto qualche dissapore tra lui e la Benelli: Pasolini dice che la moto non è più competitiva come prima, la Casa sostiene il contrario. La separazione è inevitabile e dopo molte illazioni più o meno campate in aria Renzo Pasolini torna al suo primo amore, la Aermacchi (ora anche HarleyDavidson) che ha preparato una 250 bicilindrica due tempi che però è ancora tutta da « collaudare».
Gli inizi sono deludenti perché la macchina richiede una laboriosa messa a punto, molto più lunga del previsto, tanto che brucerà praticamente tutta la stagione ‘71. Nel ‘72 però finalmente l’ostinazione di Pasolini (che è assunto dalla Casa anche come ispettore alle vendite) e dei bravi uomini del reparto corse, capeggiati da Gilberto Milani e Mascheroni, comincia a dare i suoi frutti: la strepitosa vittoria nel G.P. delle Nazioni a lmola, cui fanno seguito quelle al G.P. di Iugoslavia e a Barcellona, e i secondi posti di grande valore come quelli di ClermontFerrand, dopo Read, e di Assen dopo Gou Id, del Sachsen ring e di Brno dietro a Saarinen.
In Italia, oltre alla vittoria di Imola, vince anche a Riccione e Ospedaletti aggiudicandosi il quinto titolo italiano della sua carriera. Anche con la 350 ottiene degli ottimi risultati fra cui il secondo posto di lmola, del Sachsenring, di Brno e di Barcellona. Concluderà i mondiali al secondo posto nella 250 dopo Saarinen e al terzo nella 350 dopo Agostini e Saarinen. Nel ‘72 Pasolini corre anche al circuito dell’Ontario con una HarleyDavidson 750 arrivando terzo (primo della squadra ufficiale americana). Nel ‘73 a Daytona, con la stessa macchina, non avrà invece fortuna.NeI ‘73 tutto sembra finalmente maturo per la battaglia ad armi pari alla conquista del mondiale, anche se la Yamaha e l’astro Saarinen non sono certo lì a facilitare i compiti. Tuttavia la HarleyDavidson ha messo in campo le bicilindriche raffreddate ad acqua che si rivelano competitive, particolarmente la 350 con la quale è primo a Riccione e Vallelunga, conquistando il titolo di campione per il 1973: titolo che gli verrà assegnato «alla memoria» in quanto al momento della consegna ufficiale Pasolini è ormai scompars6 da un pezzo.

La data fatale è il 20 maggio 1973. Pasolini aveva disputato una gara sensazionale nella classe 350, ricuperando 11" da Agostini e riuscendo ad agguantarlo e superarlo quando, a quattro giri dal termine, un «dritto» alla curva parabolica causato da un grippaggio metteva fine alla certezza di una grande vittoria. Ancora teso per questo sforzo, ancora accaldato e contrariato, si era subito dopo ripresentato al via per l’immediatamente successiva partenza della classe 250, dove i suoi compiti sarebbero stati altrettanto difficili contro gli uomini Yamaha. Poche centinaia di metri sparati, poi la paurosa caduta collettiva al curvone che coinvolse otto piloti: Pasolini, Saarinen, Walter Villa, Giansanti, Palomo, Kanaya, Mortimer e Jansson. Alcuni ne uscirono quasi indenni, altri malconci come Walter Villa; Renzo Pasolini e Jarno Saarinen riportarono ferite che ne causarono il decesso quasi istantaneo.
Ma non è con l’immagine di questa tragedia negli occhi che vogliamo chiudere il capitolo su Renzo Pasolini. Vogliamo ricordarlo in un atteggiamento che gli era abituale: accovacciato su una delle sue moto da corsa nel box di un circuito, lo sguardo assente dietro le spesse lenti degli occhiali, vagare lontano col pensiero mentre i meccanici lavorano quieta mente attorno alla moto migliore.

Certo «il Paso» sentiva che dentro quei motori messi insieme in famiglia alla Schiranna, anche se troneggiava sul serbatoio il pomposo nome HarleyDavidson, c’era la forza per arrivare al mondiale. E con quelle macchine proprio uno degli scampati alla tragedia di Monza, Walter Villa, raccoglierà, con quattro titoli mondiali, i frutti che solo poco tempo prima per il braccio proteso di Renzo Pasolini erano ancora acerbi.

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